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A parlare è la consigliera comunale Sarah Grieco L’ennesima morte in carcere segnala non solo una tragedia personale, ma è la manifesta evidenza di un sistema penitenziario che ha ripetutamente tradito la missione retributiva e rieducativa affidatagli dalla Costituzione. Un luogo che dovrebbe promuovere la riabilitazione e il reinserimento sociale delle persone detenute è diventato, purtroppo, un contesto in cui gli individui sono intrappolati in spazi angusti, privi dei diritti fondamentali e costretti a vivere ai limiti della dignità umana.
Stiamo lasciando alle spalle un anno horribilis, continua Grieco – con un numero di suicidi che ha raggiunto quota novanta e il 2025 non sembra iniziare meglio: già quattordici persone si sono tolte la vita in carcere. È allarmante notare che l’istituto penitenziario di Frosinone occupa il tredicesimo posto nella triste classifica degli istituti italiani. L’ultimo caso di suicidio risale a settembre dell’anno scorso. È una macabra contabilità che non può più essere ignorata.
Le istituzioni, a partire dall’Amministrazione penitenziaria, sembrano spesso più concentrate su circolari sempre più restrittive piuttosto che sui reali bisogni dei detenuti. La situazione attuale non è una mera emergenza, ma un problema strutturale che richiede un intervento urgente e significativo. Senza spazi adeguati, servizi sanitari efficienti e attività trattamentali mirate, il rischio è che ci si ritrovi a registrare nuovi tristi record, simili a quelli dello scorso anno.
In questo contesto, le riforme devono diventare una priorità. È necessario riconsiderare il testo unico sugli stupefacenti e adottare un approccio più cauto nell’applicazione delle misure cautelari, a partire dai pubblici ministeri. La custodia cautelare in carcere, che dovrebbe essere l’ultima ratio, è diventata una prassi comune.
Inoltre, è inaccettabile il perdurare di diritti negati. La sentenza costituzionale riguardo alla sessualità in carcere, emessa ormai un anno fa, è pressoché ignorata. I colloqui intimi, sebbene sanciti su carta, rimangono un diritto non accessibile per molti detenuti. Non possiamo nemmeno immaginare quanto la possibilità di coltivare relazioni affettive potrebbe lenire la sofferenza di chi vive in condizioni così critiche.

Tuttavia, viviamo tempi difficili per l’uso della “ragione”. Una ragione che dovrebbe andare oltre le barriere del populismo penale. Questa situazione drammatica non può lasciare indifferente nessuno, al di là delle bandiere politiche. A Cassino, ad esempio, nel consiglio comunale, la mozione sulle carceri ha trovato consenso unanime, dimostrando che esiste una volontà collettiva di affrontare questo tema cruciale.
Le iniziative intraprese da coloro che lavorano ogni giorno per garantire speranza, supporto e diritti alle persone detenute non possono essere sottovalutate. I tutors che assistono gli studenti ristretti nello studio universitario e gli operatori del Sportello per i diritti dei detenuti stanno cercando di apportare miglioramenti tangibili alle loro condizioni di vita.
Tuttavia, la sensazione tra gli operatori, soprattutto dopo l’ennesimo suicidio di un detenuto — Andrea — è stata di smarrimento, per i più giovani, e impotenza, per quelli con maggiore esperienza. È un dolore profondo, condiviso da chi lavora in prima linea in un sistema che, come sottolineato dal garante Anastasia, è sempre più un luogo di morte e disperazione. In uno Stato che si professa democratico, una simile condizione non è più tollerabile. È giunto il momento di agire così conclude Sarah Grieco
