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L’editoriale del direttore
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è uno strumento di misurazione economica che, nonostante la sua diffusione, presenta delle lacune che spesso passano inosservate. Perché dovremmo fidarci di una misura che non racconta l’intera storia dell’economia di un Paese? Ci sono molteplici motivi per cui il PIL, in realtà, può essere considerato incompleto.
Per meglio capirci riporto questo esempio, il caso degli ingorghi stradali: più automobili bloccate in coda significano maggior consumo di benzina. Questa situazione contribuisce positivamente alla crescita del PIL, ma ignora completamente lo spreco di tempo prezioso della gente, un aspetto che danneggia l’economia e il benessere collettivo. E ancora, pensiamo alle spese per la sicurezza nelle nostre case: sistemi d’allarme, assicurazioni, vigilanti privati. Queste spese, che aumentano il PIL, non sono affatto indice di una società sicura e prospera; piuttosto, riflettono una percezione di vulnerabilità tra i cittadini.
Il PIL è una misura “grezza”, priva di detrazioni significative. Non tiene conto della perdita di capitale. Al termine di una crisi economica, le imprese falliscono e il capitale scompare, ma il PIL continua a non considerarlo. Inoltre, la disoccupazione distrugge risorse umane, senza che questo impatti sul calcolo del PIL, che si concentra solo sul capitale fisico. Questa visione riduzionistica porta a considerare la salute economica di un Paese in modo inadeguato.
Alcuni potrebbero contendere che, nonostante tutto, c’è sempre qualcuno che lavora e produce beni. Ma il PIL fotografa realmente la ricchezza di una nazione? Può avere segno positivo anche quando l’80% della ricchezza è concentrato nell’1% della popolazione. Questo non rappresenta una nazione veramente ricca! La vera espansione economica deve essere distribuita equamente affinché tutti possano beneficiarne. Ricordiamo i versi del poeta romano Trilussa: “un ricco mangia un pollo intero, un povero nulla, ma per la media tutti e due hanno mangiato mezzo pollo.” È un’affermazione pungente che evidenzia come le statistiche possono mascherare una verità scomoda.
Inoltre, l’inflazione colpisce in modo diverso le varie fasce della popolazione. Per i meno abbienti, gran parte del reddito è assorbito da beni essenziali, che subiscono un’alta inflazione. Al contrario, per i più facoltosi, le spese per beni di lusso diminuiscono, contribuendo così a una lettura distorta del reale costo della vita.
È un errore catastrofico dire che la crescita del PIL equivale al progresso sociale. Serve un approccio alternativo, in grado di identificare variabili realmente indicative del benessere collettivo. Dalla salute all’educazione, dalla qualità dell’occupazione alla partecipazione attiva nella vita sociale e politica, fino ai livelli di inquinamento e alla sicurezza: questi indicatori sono essenziali per comprendere lo stato di una nazione.
Proprio nel contesto della crisi economica del 2008, la tradizionale risposta basata sull’austerità ha dimostrato quanto sia rischioso focalizzarsi esclusivamente sul rapporto Debito/PIL. Ridurre il debito pubblico a scapito dei capitali reali – umano, pubblico o naturale – può compromettere irrimediabilmente la ricchezza di una nazione, senza che ce ne accorgiamo. Affidarsi esclusivamente al PIL come misuratore del progresso è riduttivo e pericoloso. È giunto il momento di allargare i nostri orizzonti e cercare nuovi strumenti di misurazione che possano catturare l’essenza del benessere sociale. Solo così potremmo davvero comprenderne la crescita e costruire un futuro migliore per le generazioni future.