Il “petrolio bianco” fornisce entrate alla criminalità la politica deve intervenire

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Domenico Panetta
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Negli ultimi anni, il narcotraffico, e in particolare quello della cocaina – il famigerato “petrolio bianco” – ha fatto emergere numeri da capogiro che dovrebbero farci riflettere seriamente sulla gravità della situazione. Secondo le mie ricerche, il fatturato generato da queste organizzazioni criminali supera addirittura quello di giganti multinazionali come Shell e Deutsche Bank. In Italia, le mafie possono vantare un impressionante giro d’affari di 300 miliardi di euro. Una cifra che non solo rappresenta un’emergenza sociale, ma che segna anche un’inquietante infiltrazione nel tessuto economico nazionale e internazionale. 

La crisi economica ha ulteriormente amplificato il potere d’acquisto della mafia. Con una liquidità straordinaria, superiore in alcuni casi a quella di istituti bancari, questi gruppi stanno acquistando tutto: titoli di stato, aziende in difficoltà e proprietà immobiliari. Osservando quanto sta accadendo in Grecia e in Andalusia, è evidente che la mafia non si limita a operare nell’ombra; sta invece diventando un attore principale nel mercato, trasformando la sua influenza in un potere concreto e tangibile. È un fenomeno inquietante, che impone una domanda cruciale: fino a che punto sarà disposta a spingere l’economia legale per opporsi a questa nuova forma di capitalismo? 

Uno degli aspetti più allarmanti riguarda il riciclaggio del denaro sporco. Stando ai dati forniti dalla DEA (Drug Enforcement Administration), il 97% delle risorse provenienti dal narcotraffico viene reinvestito nelle banche americane ed europee. Questo significa che la finanza legittima e quella illegittima sono sempre più interconnesse, creando un circolo vizioso che alimenta entrambe le economie. La mafia, avvalendosi di un sistema bancario compiacente o, peggio, inefficace nel contrasto di tali pratiche, ha trovato un modo per prosperare all’interno di un contesto che dovrebbe proteggerci. 

Costruzioni Laziali

Non mi limito a denunciare il problema; lancio un vero e proprio appello alla collettività. La politica deve dare priorità alla lotta al narcotraffico, non può più chiudere un occhio o considerare il fenomeno come “qualcosa che c’è sempre stato”. Questo è l’errore fatale che stiamo commettendo: minimizzare una minaccia che ha assunto proposte epocali. Parliamo infatti di una forma di “narcocapitalismo”, dove le organizzazioni mafiose non solo controllano il traffico di stupefacenti, ma cercano di discutere i mercati e le scelte politiche.

Le conseguenze sono devastanti. Non si tratta solo di spaccio di droga e violenza per le strade: stiamo assistendo a un’infiltrazione sistematica di capitali illeciti nei settori economici legali, con ricadute dirette sulla nostra vita quotidiana. Le mafie non solo corrompono funzionari pubblici, ma alterano anche il normale svolgimento delle attività commerciali, impoverendo ulteriormente le aree già vulnerabili. 

In questo scenario, il coinvolgimento dei cittadini è cruciale. È imperativo che ognuno di noi prenda coscienza della gravità della situazione e non chiuda gli occhi, né tantomeno si lasci sopraffare dall’idea che sia un problema irrisolvibile. Se vogliamo costruire un futuro libero e giusto, la lotta contro il narcotraffico deve diventare una priorità non solo per le istituzioni, ma anche per ciascun individuo. È tempo di alzare la voce e di combattere uniti contro questo colosso finanziario che minaccia di soffocare la nostra società. Non possiamo permettere che il narcotraffico continui a prosperare; dobbiamo agire ora.