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Morire su una sedia: La tragedia dell’ospedale di Cassino
Morire su una sedia, un triste epilogo in un contesto dove ci si aspetterebbe che la vita venga preservata. È con una determinazione che si deve affrontare quanto accaduto all’ospedale di Cassino, dove un giovane di nazionalità ghanese, studente d’economia e residente a Carpi, ha trovato una morte ingiusta e inaccettabile.
La sua storia inizia con un incidente banale, una caduta mentre viaggiava su un monopattino a Sant’Apollinare. In seguito alla caduta, il giovane aveva riportato gravi lesioni: danni a un rene e la rottura della milza. Nonostante il dolore acuto, il suo viaggio attraverso il sistema sanitario si è trasformato in un dramma. Dopo aver subito una prima TAC alla testa, è stato dimesso alle tre del mattino, nonostante le sue condizioni evidenti. Ma non ha mai lasciato l’ospedale; è rimasto abbandonato su una barella nel corridoio, ignorato da chi avrebbe dovuto prendersi cura di lui.
Solo il turno successivo di medici ha avuto l’attenzione necessaria per accorgersi del suo stato catatonico. La mancanza di vigilanza e l’assenza di un’assistenza adeguata hanno portato a una tragica scoperta: una grave emorragia interna. Subito operato d’urgenza, l’intervento si è rivelato vano, e il giovane è respirato poco dopo.
Il dolore della famiglia e la loro giusta reazione, presentando denuncia alla polizia, richiamano l’attenzione su una questione fondamentale: cosa è accaduto durante quelle ore critiche tra il ricovero al pronto soccorso e la sua morte? La cartella clinica è stata sequestrata, e le autorità competenti stanno cercando di ricostruire i fatti, ma è chiaro che qualcosa non ha funzionato.
In un luogo come l’ospedale, dove ci si aspetta professionalità e umanità, vedere un giovane morire in questo modo è inconcepibile. L’intera comunità di Cassino è scioccata, così come l’ateneo cittadino. Non si tratta solo di un errore diagnostico, ma di un fallimento sistemico nella cura e nell’assistenza di una vita umana.
È necessario che emergano la verità e la responsabilità. Nella lotta per la giustizia sociale e sanitaria, ogni caso come quello di questo giovane rappresenta un appello a tutti noi affinché nulla di simile si ripeta. La vita è sacra, e ogni scarto nella cura deve essere esaminato con la massima serietà possibile. Non possiamo più permettere che si muoia su una sedia in un ospedale. Chi ha sbagliato deve pagare. Ci sono in gioco tante vite.