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L’ editoriale del direttore
Tra i contributi più rilevanti riguardanti l’interazione tra politica e criminalità, il saggio di Sergio Flamigni, “La tela del ragno”, offre un’analisi approfondita del caso di Aldo Moro, il leader democristiano rapito e assassinato dalle Brigate Rosse.
Il testo di Flamigni sottolinea l’interesse di membri della mafia, come Stefano Bontade, per la liberazione di Moro, nonostante ci fossero stati significativi contrasti interni tra diverse figure di Cosa Nostra. Tali dinamiche evidenziano un intreccio complesso tra criminalità organizzata e politica, suggerendo che le motivazioni per il mancato raggiungimento della libertà di Moro potrebbero essere radicate in un contesto di interessi più ampi.
Il racconto di Ugo Bossi sul consiglio ricevuto da Frank Coppola – un mafioso in difficoltà, ma determinato ad avvertire – mette in luce il fatto che la situazione era più intricata di quanto chiunque potesse comprendere. La presenza di personaggi politici disposti a interferire con il tentativo di liberare Moro, come indicato dalle testimonianze di Vincenzo Vinciguerra e Raffaele Cutolo, suggerisce che vi fosse una volontà politica a ostacolare tali sforzi. Le affermazioni di Cutolo, in particolare, portano alla luce l’idea che fonti provenienti dal mondo del crimine stessero tentando di operare per la liberazione di Moro, ma vennero fermate da pressioni politiche.
Le dichiarazioni concordi di vari esponenti della criminalità organizzata, unite ai rinvii della Commissione stragi, pongono interrogativi inquietanti sulla responsabilità dello Stato nel destino di Moro. È emerso che, sebbene la criminalità organizzata avesse inizialmente mostrato interesse per la liberazione, tale coinvolgimento sia stato pentitamente interrotto. Ciò comporta una riflessione sulle cosiddette “zone grigie” nelle relazioni tra mafia e potere politico, creando un quadro sospetto in cui le istituzioni non sono state in grado se non addirittura disinteressate al salvataggio di un leader democratico.
Alla luce di questi eventi e delle testimonianze, è legittimo porsi una domanda: fu lo Stato a condannare a morte Aldo Moro? L’analisi delle interazioni tra consorterie criminali e apparati politici suggerisce che il conflitto tra i diversi attori in gioco avrebbe avuto ripercussioni fatali, non solo per Moro, ma anche per la democrazia italiana. La verità si nasconde in un labirinto di silenzi e complicità e con l’amara volontà di tenere tutto nascosto.